Scritta scorrevole

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Insegnante di inglese appassionata di scrittura e di fotografia e profondamente innamorata degli animali. Questo blog è un ampio rifugio in cui condivide passioni, letture, riflessioni, novità sui suoi libri e molto altro. INSTAGRAM: @simona_giorgino (profilo autrice), @photosfromthewind (profilo fotografico).

domenica 19 dicembre 2010

Mama

Che strano che, come allora, dal chiosco arrivino le note di Kadjha Nin. Che bella coincidenza! Mi riaffiorano alla mente vecchi ricordi e, difatti, se sono venuto a fare due passi qui è proprio per questo. Potrei morire per l’emozione, ma mi bastano due lacrime, che, piuttosto, mi mettono vita.
Al balcone non c’è più Nina ad affacciarsi con le sue trecce rosse e le lentiggini. Tanto bellina, la Nina. Mi immaginavo una vita insieme a lei, all’epoca. Ma lei era così ragazzina! Adesso, invece, dev’essere una donna. Chissà se è sposata. Mi sono scoperto, nel tragitto fin qui, a pensare di rincontrarla e di farci l’amore dietro il capannone degli attrezzi dove solevamo giocare a nascondino. Adesso non è più una ragazzina, la differenza d’età non si sentirebbe.
Sulle scale dall’intonaco bianco, circondate, di tanto in tanto, da fichi d’india spinosi e da gerani rossi, non c’è più Ciro con i suoi scherzi e le sue astuzie.
La panchina sotto il pino, nemmeno quella c’è, più. L’hanno sradicata. Era l’unico posto in cui, mi ricordo, potevo abbandonarmi per ore a leggere un libro, mentre Ciro continuava con i suoi giochi estenuanti, o in cui potevo piangere in tranquillità per amore. Le prime lacrime d’amore, si. Accidenti se non le ricordo. Stavo lì, raccolto tra me e me, con un libro sempre a portata di mano, la copertina ingiallita e le pagine svolazzanti al vento, a ripensare alle parole di papà: “Un uomo non piange, mai!”. E allora mi chiedevo cosa mai potessi avere, io, che non andava. Dove ero nato sbagliato. Nel cervello, nel cervello dovevo essere nato sbagliato. O forse, solamente, non ero ancora un uomo.
Quanti anni avrò avuto? Quattordici, forse. Si può dire uomo un ragazzino di quattordici anni?
Eppure, avrò fatto di tutto per nascondere quelle lacrime al mio caro papà.
Ora lo so, invece, che erano tutte sciocchezze. Quante volte, anche lui, papà, avrà pianto. E quante volte avrei potuto mostrare le mie, senza il dovere di nasconderle sulla panchina della Solitudine.
E’ scomparsa perfino la panchina, dunque. Infondo sono passati anni. Non potevo pensare di venire qui e trovarvi quello che vi ho lasciato tanto tempo fa.
Cos’è rimasto? Neanche la casa c’è più. Una volta diventati vecchi, mamma e papà l’avevano venduta, e ora al posto suo sorge una villetta con la piscina, che invidia, tuttavia, questa immensa distesa del mare. L’hanno acquistata dei ricchi commercianti americani che l’estate amano sguazzare nelle nostre acque e prendere il nostro sole sulla costa adriatica. Hanno scelto proprio un bel posto. Se conoscessi il Paradiso, sicuramente mi verrebbe facile paragonarlo a questo angolino di mondo.
Allora faccio due passi verso il chiosco, l’unica cosa che sembra essere rimasta uguale. Mi aspetto di trovarvi delle persone nuove, naturalmente. Dopo tanti anni. E la canzone Mama in questo momento sarà senz’altro una curiosa coincidenza, ma è proprio questa che mi spinge fin lì.
Vi faccio il mio ingresso con sguardo attento, tipico di chi sta cercando o aspettando qualcuno di preciso.
Una vecchia signora mi chiede in cosa può essermi utile. Il chiosco è un po’ malandato, ma è rimasto tale e quale a come era all’epoca.
“C’è Tore?”, le chiedo, abbozzando un sorriso curioso. Lei mi guarda insospettita, poi scompare dietro una porta interna senza dirmi una parola. Solo un paio di minuti di attesa in cui mi scopro a ricordare molti più dettagli di quelli che avrei immaginato, e ricompare la signora con un vecchio dalla barba lunga. E’ Salvatore.
Mi viene incontro abbracciandomi. Anche la signora sorride. Sono esterrefatto. Si ricorda ancora di me.
“Sei sempre un bel giovane, tu!”, mi abbraccia ripetutamente. “Carla!”, si rivolge alla signora, “Carla, questo è stato come un figlio per me, come un figlio!”, e le ordina di servirci una bevanda. “Carla è la mia seconda moglie, mi sono risposato dopo che sei andato via da qui”, si rivolge a me.
Salvatore non è cambiato. Mi rendo conto che i suoi occhi sono sempre quegli occhi vispi, neri e lucidi di tanti anni fa. La barba è più lunga e molto grigia. Gli mancano anche più denti. Ma lo sguardo, quello è identico allo sguardo che ho sempre conosciuto e conservato nella mente, negli anni.
“Non sei cambiato per niente, Tore”, gli dico. “Non sei cambiato per niente”.
“Eh! Ma qui son cambiate tante cose, invece, da quando sei andato via, sai?”, lo dice con tono triste.
“Nina?”, gli chiedo, scoprendomi molto più curioso di quanto credessi io stesso.
“Eh, la Nina, la Nina… la Nina è morta. Ma son già tre anni, sono! Non l’avevi saputo?”.
“No, non l’avevo saputo”.
Non so dire altro. Cos’altro devo scoprire? Qui è cambiato tutto. Quant’era più piccola di me, la Nina?! Lo sarà stata di almeno dodici anni, si. E’ morta prima di me. Tutto mi sarei aspettato, di trovarla sposata, sicuramente. Ma non morta.
Ciro, per fortuna, Ciro so che è vivo e so anche quello che fa, ma evito di parlarne a Salvatore. So che negli anni avevano avuto dei problemi, un litigio pesante dovuto alla proprietà di un terreno. Non ascolterebbe volentieri notizie di Ciro, adesso.
Ma io, mi domando, io, dove sono stato in tutto questo tempo? Perché ho permesso a tutto e a tutti di cambiare senza saperne niente?
Un giorno qui mi sarei sentito a casa mia, come se questo pezzo di mondo mi appartenesse di diritto e di dovere. Oggi, oggi sono in grado di sentirmi solamente impotente e smarrito.
“E tu? Tu come te la passi? Ti trovo proprio bene”, mi chiede.
Mi scopro a pensarci un momento. Non so se sia giusto parlargli di tutto, mettergli in testa delle preoccupazioni. So che Salvatore ha sempre voluto molto bene a tutti noi ragazzi del quartiere, so che, fino solo a poco tempo fa, ha fatto il tifo per noi, per me, Ciro e Nina, soprattutto.
Si è visto scomparire Nina, con Ciro non è andata bene, ed ora io, qui, un bel giovane, cosa si aspetta? Io non lo voglio deludere. Ma non legge nei miei occhi, la delusione? Non le vede queste occhiaie? Ha ancora nei suoi occhi vispi quella voglia di sapere, di aggiustare, di fare sempre qualcosa di buono. Se gli chiedessi un favore me lo farebbe anche subito. Ha tutta l’aria di uno che mi sta accogliendo davvero come un figlio mancato. Io non me la sento di deluderlo, ed anche mi vergognerei di dirgli che ho fallito.
Una volta andato via da qui, per quanto tempo ancora ci sentiremo, infondo? Ci perderemo nuovamente di vista, per forza, per forza di cose.
“Io, Tore, io sto benone!”
“Lo sapevo, io, figlio mio, lo sapevo!”. Gli leggo in volto la soddisfazione, come se mi avesse cresciuto lui, come se il mio benessere fosse dovuto alle sue cure. “Cosa fai, adesso? Ti sei sposato?”.
 “…Si… mi sono sposato. Sono felice, Tore. Sto bene. E sono un cuoco”.
“Un cuoco! Carla, abbiamo un cuoco qui!”, urla felice e soddisfatto rivolgendosi alla moglie, la quale fa capolino di tanto in tanto da dietro le cucine, dove sta preparando dei panini farciti. E’ orgoglioso di me come gli avessi detto che sono diventato un medico.
Ma cerco di tagliare corto, dicendogli che mi rammarica abbandonarlo di già, e che devo andare.
Lui si rattristisce perché lo devo abbandonare così presto, e mi fa inviti su inviti a tornare ancora, con la mia famiglia, che l’onore di cucinare il pranzo starebbe a me, che son cuoco. E, prima di salutarci, mi domanda, quasi con le lacrime agli occhi: “Ciro come sta?”. Lo sapevo, infondo, che non avrebbe rinunciato a domandarmi di lui. Salvatore è buono. E’ buono dentro.
“Non lo sento da qualche mese. Ma deve stare benone, Tore”. A momenti si mette a piangere. Quest’uomo ci ha sempre trattati come figli. Lui di figli non ne ha mai avuti. Ha avuto solamente noi, ragazzini di quartiere, e ha sempre tifato per il nostro successo nella vita.
“Ciro anche ha famiglia, Tore. Una bambina bellissima, di 7 anni. E lui fa il finanziere”.

Camminando sul percorso che mi riporta al parcheggio dove ho lasciato la mia Land Rover, mi lascio alle spalle l’angolino di mondo dove sono cresciuto, e mi lascio alle spalle anche il chiosco di Salvatore. Non so, infondo, se ci tornerò più. Ripenso alle sue lacrime e alle mie ultime parole “Ciro ha famiglia, una bambina, e fa il finanziere”.
Lui, che stava sempre a giocare giochi inutili e a farmi dispettini curiosi, ha fatto tutto questo nella sua vita. Io, che quando ero piccolo sono stato sempre chino sui libri, a leggere la vita, a cercare filosofie, soluzioni, verità, non ho costruito niente. Quale verità mi hanno dato i libri? Avevo ragione a chiedermi, quando ero piccolo, dove ero nato sbagliato.

Non so, in realtà, cosa mi ha spinto a venire fin qui, nell’angolino di mondo dove sono cresciuto. Volevo vedere, si, sicuramente, com’era la mia vita prima di rovinarla come sono riuscito a fare io. E cosa avrei potuto vedere altro, venendo qui, se non com’era la mia vita?
E in verità, ecco cosa ci ho visto: ho visto come sarebbe potuta essere. Sarei potuto morire, come Nina, o avrei potuto costruirmi una vita sicura e stabile, un matrimonio ed un lavoro fisso, come Ciro. O forse sarei semplicemente potuto rimanere la persona di sempre, con gli stessi ideali di tanti anni fa, come Salvatore.

Ma nulla di questo, per me.

Io, nella mia vita, finora, non ho costruito niente, non sono neppure rimasto quello puro di un tempo, ma sono cambiato divenendo un mostro, e, infondo, non sono neppure morto. Quello che ho potuto creare sono stati solo castelli di illusione caduti al primo lieve soffio di vento. Non ho studiato, non mi sono mai innamorato, non ho mai avuto profonde ambizioni e ho distrutto la mia vita con la droga. Non sono neppure un mezzo cuoco, come ho raccontato a Salvatore.

La mia Land Rover vecchia e scassata riparte con il suo solito rumore stordante dovuto alla marmitta che va cambiata da un pò. Mi accendo una sigaretta e tiro una prima, unica, profonda boccata. Poi la butto subito fuori dal finestrino. Quello che voglio, adesso, è solo partire, andare lontano, lontano da qualsiasi posto a me conosciuto, come se potessi ritrovare me stesso solo in posti dove non sono mai stato, perché in quelli in cui sono stato mi ritrovo sempre cambiato. Eppure, chissà perché, ancora una volta la mia mano va a cercare, tra i miei cd, proprio quello che s’intitola Mama.

S. Giorgino
(link per la canzone Mama, di Kadjha Nin).

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