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Insegnante di inglese appassionata di scrittura e di fotografia e profondamente innamorata degli animali. Questo blog è un ampio rifugio in cui condivide passioni, letture, riflessioni, novità sui suoi libri e molto altro. INSTAGRAM: @simona_giorgino (profilo autrice), @photosfromthewind (profilo fotografico).

giovedì 28 febbraio 2013

"Deserto Rosso", una storia di fantascienza divisa in puntate: intervista all'autrice.



Oggi vi presento un'autrice davvero interessante. 
Le sue risposte sono complete, esaustive, ricche di informazioni e di curiosità!
Rita Carla Francesca Monticelli ha pubblicato le prime due puntate 
di una quadrilogia dal titolo "Deserto Rosso".
Ci racconta inoltre della sua esperienza con il self-publishing
e degli ottimi risultati che ha ottenuto.

Ecco che cosa ci siamo dette!






Benvenuta nel mio blog! Vogliamo presentare ai lettori il tuo libro “Deserto rosso”, una quadrilogia di cui hai già pubblicato le prime due puntate. Di che cosa tratta?

Rita Carla Francesca Monticelli
Ciao Simona, prima di tutto ti ringrazio per l’ospitalità nel tuo bellissimo blog!
“Deserto rosso” è una serie a puntate di fantascienza, costituita da quattro episodi, che nell’insieme poi formano un unico romanzo. Ciò che la differenzia da un romanzo semplicemente diviso in quattro parti è che ogni puntata viene scritta e pubblicata prima di iniziare a lavorare alla successiva. Si tratta di un progetto in qualche modo sperimentale in cui, sebbene esista una trama di massima, questa nei dettagli può modificarsi nel corso della pubblicazione anche in seguito al feedback dei lettori. Ciò lo rende particolarmente interessante, perché permette un’interazione continua tra me e i miei lettori, eliminando i periodi di silenzio tra un libro e l’altro. Tieni conto che tra la pubblicazione di due puntate successive passano appena cinque mesi, nei quali i lettori vengono continuamente tenuti informati sulle varie fasi di produzione dei libri. E ciò è reso possibile dal fatto che la storia di ogni episodio non è autoconcludente, in questo modo chi la legge vuole sapere cosa succede dopo ed è quindi portato a interagire con me nei mesi di attesa. In questo modo si può trovare a influenzare gli eventi, magari anche solo dettagli, che verranno narrati nell’episodio successivo.
Al di là della tipologia narrativa, come dicevo, “Deserto rosso” è una storia di fantascienza, ambientata in un futuro prossimo, diciamo circa cinquant’anni da adesso. Narra la vicende di un gruppo di astronauti impegnati in una prima missione di colonizzazione di Marte, che ha luogo ben trent’anni dopo il tentativo precedente di esplorare il pianeta, in cui tutto l’equipaggio era morto in circostanze misteriose.
La differenza con la missione precedente è che l’intenzione non è fare una breve visita, ma istallarsi in pianta stabile e dare inizio a un progressivo processo di colonizzazione del pianeta.
Per certi aspetti l’approccio è abbastanza scientifico. Io sono una modesta areofila (appassionata di Marte) e mi sono documentata soprattutto sui libri di Robert Zubrin, il fondatore della Mars Society. Per altri però è la storia di essere umani normali (o quasi) che si trovano ad affrontare situazioni ben al di là della loro portata o comunque delle loro aspettative. Costretti a vivere in un ambiente ristretto all’interno di un enorme pianeta deserto e insidioso, senza le convenzioni e un qualche sistema di controllo da parte della Terra, ognuno di loro tenderà a tirare fuori il peggio di sé, finché la morte non si abbatterà sulla piccola comunità, sconvolgendone per sempre i difficili equilibri.
Tra i cinque astronauti c’è la protagonista, Anna Persson, un’esobiologa svedese, con una storia familiare un po’ particolare e diversi problemi psicologici, che un bel giorno, senza un apparente motivo, esce di nascosto dalla struttura abitativa, la Stazione Alfa, con un rover pressurizzato e si addentra nel deserto marziano verso una morte certa (o quasi). Da questo atto incomprensibile ha inizio la prima puntata. Non si tratta, però, del vero inizio della storia. Con una serie di flashback sia nella prima che nella seconda puntata si scoprirà ciò che è accaduto prima del lancio della missione e nei circa mille giorni di permanenza sul pianeta, precedenti alla fuga di Anna, fino a capirne le motivazioni.
Ciò che Anna non sa è che Marte avrà però in serbo per lei una scoperta incredibile, alla base di un mistero nascosto nelle profondità del più grande canyon del Sistema Solare, Valles Marineris.

Quella di “Deserto rosso” è stata la prima volta in cui hai provato a cimentarti nella stesura di un libro o avevi già scritto altri lavori in precedenza?

Prima puntata.
Nei tre anni precedenti (2009-2011) avevo scritto la prima stesura di un altro romanzo originale di fantascienza, intitolato “L’isola di Gaia”, che si inserisce nella stessa timeline di “Deserto rosso”, ma circa cinquant’anni dopo il lancio della missione Isis (a cui Anna partecipa). In questo momento mi sto occupando dell’editing di questo romanzo, ma con molta calma. Non si tratta di un sequel, in quanto è una storia a parte, che può essere letta separatamente, ma ha numerosi elementi di contatto.
Avevo inoltre scritto nel 2000 un altro romanzo, che rientra però nell’ambito della fan fiction, intitolato “La morte è soltanto il principio”. Si tratta di un fantasy di argomento egiziano, ricco di avventura e ironia, ispirato al film “La Mummia” (1999), di cui è una sorta di sequel alternativo. L’ho pubblicato in ebook lo scorso anno (a marzo) ed è tuttora distribuito gratuitamente. È stato scaricato più di 3000 volte da Smashwords, ma non ho la più pallida idea di quanto sia stato scaricato dai vari retailer (Kobo, iTunes).
In passato inoltre mi ero cimentata nella scrittura di tre sceneggiature (due thriller e una commedia sentimentale), che sono rimaste inedite. Ammetto che il mio interesse per la scrittura nasce proprio dal mio amore per il cinema.

Che cosa ti piacerebbe che comunicasse il titolo che hai scelto, “Deserto rosso”?

Ho pensato a “Deserto rosso” come titolo del libro ancora prima di iniziare la scrittura della prima puntata. Volevo unire un aspetto peculiare di Marte, il suo colore unico, che tanto ci fa sognare e fantasticare, con la sua vera natura, quella di deserto privo di vita, pericoloso, desolato e letale. Il senso di solitudine che il titolo trasmette è quello che si percepisce proprio nelle scene iniziali, in cui Anna decide di imbarcarsi in questa fuga insensata nel deserto, completamente sola. L’idea stessa del romanzo è nata da un’immagine comparsa nella mia mente alcune settimane prima di mettermi al lavoro con questo progetto: quella di un astronauta che in completa solitudine si trova ad viaggiare sulla superficie di Marte. Nell’immaginare questa situazione, mi è parso quasi di sentire i sentimenti contrastanti che provava: da una parte la meraviglia per un paesaggio affascinante e alieno, dall’altra parte il terrore che esso trasmette.

Che tipo di risposta hai notato nel pubblico? I lettori si dimostrano impazienti di leggere gli episodi successivi?

La risposta è stata davvero sorprendente. In quasi nove mesi sono state vendute 900 copie, un risultato buono per un’autrice indipendente alla sua prima esperienza di pubblicazione. Ma, al di là dei numeri, ciò che mi ha impressionato è il feedback stesso dei lettori, che sia nei vari social network che per e-mail mi contattano di continuo per raccontarmi le loro impressioni sul romanzo e discuterne spesso degli aspetti che neppure io avevo preso in considerazione. E ovviamente, sì, sono impazienti di leggere il seguito. Il primo episodio, “Punto di non ritorno”, è abbastanza corto, si tratta di una novella, e termina con un cliffhanger davvero pesante. L’attesa per il secondo episodio, “Abitanti di Marte”, è stata notevole. Quest’ultimo è un romanzo breve, che in parte ha acquietato la curiosità dei lettori, che però adesso sono smaniosi di arrivare al cuore della storia. Per loro fortuna (e anche mia), questo verrà raggiunto col terzo episodio, “Nemico invisibile”, lungo più del doppio dei due precedenti messi insieme e che uscirà, se tutto va bene, intorno al 30 aprile. E poi resterà solo l’epilogo, per il quale però ci vorranno altri cinque mesi.
Alcuni di loro non solo sono curiosi di leggere gli ultimi due episodi, ma anche “L’isola di Gaia”, che, come ti dicevo, è nella stessa timeline di “Deserto rosso”.
Devo ammettere che questo tipo di responso è ciò che più di tutto mi sprona a scrivere, talvolta facendo orari pazzeschi o rubando tempo al sonno, pur di mantenere la promessa con miei lettori.

Raccontaci un po’ della modalità di pubblicazione che hai scelto per la tua quadrilogia. La consiglieresti agli scrittori che desiderano veder realizzato il loro sogno?

Seconda puntata.
Io adoro essere un’autrice indipendente. Avevo pensato di scrivere per pubblicare i miei libri, ma non ero per niente attratta dall’editoria tradizionale, tant’è che si tratta di una strada che non ho mai neppure tentato. Già dal 2010 avevo iniziato a studiare il fenomeno del self-publishing soprattutto nel mercato anglofono, che è decisamente molto più avanti di noi. Poi, con l’avvento di Amazon KDP in Italia, ho capito che era arrivato il momento per me di mettermi in gioco.
Avevo terminato la prima stesura de “L’isola di Gaia”, ma sapevo che c’era da fare ancora un lavoro enorme per trasformarlo in un prodotto degno di pubblicazione, allora ho pensato di cimentarmi in qualcosa di più corto. Da qui è nato “Deserto rosso - Punto di non ritorno”, cioè il primo episodio della serie, che è una novella di ventimila parole. Essendo così breve, ho avuto la possibilità di lavorarci con tutta calma per sei mesi, nei quali mi sono concentrata più da vicino su tutte le fasi di creazione di un libro, dall’editing, alla formattazione, la creazione della copertina fino alla programmazione della promozione. Nel frattempo, giusto per fare un po’ di pratica, ma anche perché è una buona mossa dal punto di vista del marketing, ho pubblicato gratuitamente “La morte è soltanto il principio” tramite Smashwords, che è il più grande distributore di autori indipendenti al mondo, che permette di portare il proprio ebook sui principali retailer internazionali, a eccezione di Amazon, che è un discorso a parte. Con questo libro ho fatto un po’ di pratica, poi ai primi di giugno, quando ero finalmente pronta col primo episodio di “Deserto rosso”, l’ho pubblicato su Amazon e su Smashwords (quindi anche Kobo e iTunes, e altri retailer internazionali), più recentemente l’ho inserito anche su Google Play.
Se considero la pubblicazione indipendente agli altri scrittori? Ovviamente sì, a patto che siano consapevoli che autopubblicando i propri libri non sono più solo degli scrittori, ma diventano di fatto degli editori e ciò comporta delle responsabilità. Come editori devo assicurarsi personalmente di pubblicare un prodotto di valore, non solo per quanto riguarda la scrittura, ma anche ciò che sta intorno a essa, incluso l’editing, la realizzazione della copertina, dell’eventuale booktrailer, del sito web, la formattazione, le faccende tecniche relative alla pubblicazione e soprattutto la promozione. Tutto ciò deve essere svolto in maniera professionale, come se non meglio di quanto farebbe un editore. Per ottenere questo risultato bisogna impegnarsi, imparare e rivolgersi, laddove non si arriva da soli, a dei collaboratori, talvolta con investimento di denaro, questo perché essere autore indipendente significa investire su se stessi a tutti i livelli, diventando un piccolo imprenditore. Certo, lo scopo all’inizio deve essere realistico. Non ci si può aspettare di diventare ricchi o vivere di questo, soprattutto nel mercato italiano in cui non esistono ancora i numeri per raggiungere certi risultati, ma ciò non cambia il fatto che ci si debba rivolgere all’autopubblicazione con lo stesso impegno e professionalità di un qualsiasi editore. Se poi ci si guadagna qualcosa, tanto meglio. Questo perché il pubblico dei lettori va rispettato e si aspetta da noi la stessa qualità che cerca in qualsiasi libro, anche se il nostro costa 89 centesimi o è gratuito.

I tuoi libri sono disponibili solo in formato e-Book? 

Sì, per il momento si trovano solo in ebook, per il semplice motivo che sono troppo corti e pubblicarli in cartaceo farebbe lievitare troppo il prezzo. Trovo assurdo che i libri di un autore non famoso arrivino a costare addirittura più dei bestseller, tra l’altro in questo modo sarebbero invendibili. Una volta terminata la serie, però, pubblicherò l’intero romanzo di “Deserto rosso” anche in cartaceo (un unico volume), non tanto perché pensi possa avere un mercato maggiore (il problema del prezzo rimane), ma semplicemente per il piacere, diciamo lo sfizio, di poterla toccare e anche perché diversi lettori me l’hanno chiesto per poterla regalare a chi non ha un ebook reader o anche per poterla tenere per sé in un formato tangibile.
Per quanto riguarda “La morte è soltanto il principio”, invece, non esisterà mai il cartaceo, sia perché voglio che resti un libro gratuito, sia perché essendo una fan fiction non posso in alcun modo lucrarci.
I miei prossimi romanzi saranno tutti disponibili in entrambi i formati, anche se credo che per semplicità li pubblicherò prima in ebook.

Qual è il tuo rapporto con gli e-Book e qual è invece l’atteggiamento che noti nel pubblico nei confronti di queste nuove creature digitali?

Amo gli ebook. All’inizio, un po’ come tutti, ero diffidente, ma allo stesso tempo curiosa. Poi ho comprato un Kindle e tutto è cambiato. Mi si è aperto un vero e proprio mondo. In linea generale quando leggo un libro non faccio alcuna distinzione di supporto, il piacere è identico, ma il bello dell’ebook è la facilità con cui i libri possono essere reperiti. Basta un clic e in sessanta secondi hai il libro a disposizione. Non è più necessario spulciare i mercatini o le librerie per trovare delle offerte, né preoccuparmi di dove mettere i libri letti (per una bookaholic come me era diventato un problema sia economico che di spazio). Quando voglio leggere un libro, vado su Amazon e clic lo compro (talvolta anche gratis), un minuto dopo lo sto leggendo. Cosa c’è di meglio per un’amante della lettura? Senza parlare poi della maggiore accessibilità ai testi in lingua straniera. Io leggo anche in inglese, francese e tedesco, quindi ho proprio l’imbarazzo della scelta.
Negli altri lettori mi pare di vedere la stessa evoluzione che c’è stata in me. Ci sono quelli che rifiutano l’idea a priori, ma solo perché non conoscono affatto la lettura digitale. Poi ci sono quelli che la provano e capiscono di non poterne più fare a meno. La transizione sarà lenta. Di certo il libro cartaceo non morirà. Io stessa continuo a leggere e comprare libri cartacei, ma con minore intensità (e spesa). Anche su questo aspetto siamo indietro rispetto ad altri mercati, ma il trend è sempre più verso l’inserimento della lettura digitale nella nostra quotidianità e a questo proposito sono parecchio ottimista.
Io poi scrivo fantascienza e i miei lettori per definizione amano la tecnologia, per cui mi trovo ad attingere al pubblico perfetto per il tipo di prodotto che propongo.

Che cosa è significato per te pubblicare un libro? Che cosa ti piacerebbe comunicare attraverso la tua scrittura?

Per me scrivere un libro è vivere situazioni e vite diverse dalla mia, che desidero provare solo con la mente senza troppo impegno (e senza alcun rischio) e con la possibilità di avere il massimo controllo si ciò che accade. Pubblicare i miei libri significa permettere ad altre persone di vivere e viaggiare insieme a me, rendendoli partecipi del genere di storie che vorrei io stessa leggere.
I singoli temi poi cambiano a seconda dei periodi della mia vita. In questi anni mi piace in particolare raccontare storie basate sulla soggettività del concetto di bene e di male, quindi con personaggi e situazioni controverse. Ho l’ambizione di portare il lettore a vivere il punto di vista di questi personaggi e sentirsi immedesimato, fino a stare dalla loro parte, sebbene compiano azioni oggettivamente sbagliate e riprovevoli.
In passato invece ero affascinata dal tema del doppio. Nel futuro chissà.
 
Hai mai pensato di cimentarti nella stesura di testi appartenenti a generi letterari differenti o pensi di rimanere sempre fedele allo stesso genere cui appartiene “Deserto rosso”?

L’ho già fatto. A parte “La morte è soltanto il principio” che è una storia fantasy di azione e avventura, con argomento egiziano, che quindi è abbastanza diversa dalla fantascienza (sebbene rientri sempre nel macrogenere del fantastico), lo scorso novembre-dicembre ho scritto anche, nell’ambito del NaNoWriMo 2012, un crime thriller intitolato “Il mentore”, che pubblicherò l’anno prossimo. Senza dubbio non sarà l’unico di questo filone. 
Diciamo che, un po’ come nella lettura, nel cinema e nella TV, non mi pongo limiti di genere, però, anche nell’ambito dei vari generi, le mie storie hanno dei punti in comune. Oltre certe tematiche che ritornano, ognuno di loro ha un’anima di mistero, suspense, colpi di scena, azione e sono tutte un po’ dei thriller. Lo stesso “Deserto rosso” è senza dubbio (anche) un thriller fantascientifico.
Sono comunque una scrittrice di genere, nel senso che non mi interessa scrivere narrativa non di genere (ne leggo anche molto poca). Tutte le volte che ho tentato di farlo, ho finito per far ammazzare qualcuno o tirare fuori qualche evento inspiegabile o qualche tecnologia futuristica. Ho decisamente bisogno degli elementi di genere, perché mi divertono tantissimo e, in fondo, io scrivo per divertirmi.

Qual è il più bel complimento che hai ricevuto sinora, dopo la pubblicazione del tuo libro? E quale invece, se c’è stata, la critica “migliore”, grazie alla quale hai potuto riflettere e magari perfezionarti?

Questa è una domanda difficile.
Ho ricevuto commenti tra i più disparati su “Deserto rosso”, in alcuni casi si trattava di brevi frasi, in altri di qualcosa di davvero articolato, che, come accennavo prima, andava a volte oltre il mio intento originale. La cosa più bella è, però, quando ti rendi conto che tra te e il lettore esiste la giusta sintonia, tanto che questi è in grado di cogliere esattamente ciò che tu stai cercando di trasmettere.
In questo senso mi ha colpito particolarmente l’e-mail di uno dei miei lettori in riferimento al ruolo di antieroina di Anna in contrapposizione con quello del personaggio di Hassan, col quale lei è in conflitto per ragioni caratteriali, ma anche e soprattutto etnico-religiose (Anna è dichiaratamente anti-islamica, mentre Hassan è musulmano). Questo lettore mi ha detto che, nonostante lui legga fantascienza perché attratto dalla parte più scientifica e tecnologica di questo tipo di storie, si è invece scoperto catturato dalla storia umana e quasi normale del conflitto tra una donna e un uomo.
Questo chiaramente mi ha fatto esultare, perché per quanto in “Deserto rosso” ci sia tanta tecnologia, avventura, azione, mistero e così via, alla base di tutto ci sono proprio i personaggi, con le loro emotività, i solo sentimenti spesso estremi, le loro follie, ma anche i loro aspetti più comuni, spesso meschini, che poi caratterizzano ognuno di noi, magari non per come ci poniamo di fronte agli altri, ma per quello che passa per la nostra testa. I miei personaggi fanno spesso ciò che le persone comuni immaginano, ma non metterebbero mai in atto, per vari (ovvi) motivi. La finzione conferisce questa libertà, che nella realtà non esiste, e quando il lettore riesce a cogliere questo aspetto è davvero per me il migliore complimento possibile, perché mi dà la dimostrazione che sto riuscendo a trasmettergli le mie emozioni.
La critica? Questa è ancora più difficile.
Non ho avuto grandi critiche che abbiano influenzato il mio modo di scrivere. Il più delle volte si è trattato di appunti, che si sono trasformati in spunti, che mi hanno permesso di vedere le cose da una prospettiva diversa e aprirmi a certi risvolti delle mie storie ai quali non avevo pensato.
Anche in questo caso devi citare un lettore che mi ha scritto una lunga e-mail. Si tratta di uno scienziato (come me d’altronde), amante della fantascienza, che mi ha fatto degli appunti di natura scientifica, che mi hanno lasciato a bocca aperta. Uno di essi riguarda un argomento che sapevo di dover approfondire (quello dell’effetto della bassa gravità sul corpo umano), ma grazie a questa critica mi sono resa conto di quanto fosse importante farlo.
A livello poi di scrittura le critiche le ho avute però prima della pubblicazione, dai miei beta reader, e ho cercato di farne tesoro nella stesura finale, ma questo è un discorso diverso.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro in ambito editoriale?

Il programma è di pubblicare intorno al 30 aprile “Deserto rosso - Nemico invisibile”, la terza puntata della serie, e poi intorno al 30 settembre l’episodio finale, il cui titolo è ancora top secret (perché sarebbe un po’ spoilerante). Invece intorno al 30 novembre o comunque prima di Natale, vorrei ripubblicare tutto “Deserto rosso” in un unico volume, sia in ebook che in cartaceo. Tutto questo salvo, ovviamente, imprevisti.
Nel frattempo presto inizierò a lavorare alla traduzione (sono una traduttrice freelance) di un romanzo di fantascienza di un autore indipendente inglese, di cui curerò in parte la promozione in Italia e che vorremmo far uscire alla fine di ottobre.
Per l’anno prossimo conto di pubblicare sia “L’isola di Gaia” che “Il mentore” e, possibilmente, “Red Desert”, cioè la serie di “Deserto rosso” in inglese.
Chiaramente non smetterò di scrivere. A novembre vorrei partecipare di nuovo al NaNoWriMo, anche se non ho ancora deciso con quale dei vari progetti che ho in cantiere.
Tra i progetti futuri c’è poi un romanzo di fantascienza, intitolato “Sangue”, che è una sorta di commistione col gotico (con gente anemica che non ama stare al sole), ma senza l’elemento soprannaturale. Sto anche pensando a un sequel de “La morte è soltanto il principio”, che si stacchi però da “La Mummia” e che sia quindi del tutto mio, perciò ancora avventura, azione, antico Egitto e soprattutto molta ironia. Mi piacerebbe anche scrivere un secondo romanzo nel filone de “Il mentore”, visto che la storia si chiude con numerosi aspetti irrisolti, anche se al momento si tratta ancora di un’idea vaga.
Infine ho l’aspirazione di rimettere mano alla timeline fantascientifica di “Deserto rosso” e “L’isola di Gaia”, con un romanzo inserito cronologicamente tra questi due e un sequel successivo all’ultimo.
Ci sono anche tante altre idee, però mi limito al momento ai propositi certi per questo 2013 e per l’inizio del prossimo anno. Non mi stupirei se da qui a qualche mese mi venisse in mente qualche nuova idea e decidessi di mettere da parte alcune di queste ultime che ho appena citato!


Complimenti per tutto e grazie di essere stata con noi. In bocca al lupo e alla prossima!

Grazie ancora a te e… crepi il lupo :)! 




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Per info e contatti:

YouTube (booktrailer): www.youtube.com/user/ladyanakina 






Simona




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Per rispondere a un'intervista, scrivimi: alamuna@gmail.com






mercoledì 27 febbraio 2013

Il fascino della neve e partenza per la Sila!


Dopo un secolo passato ad agognare la montagna, ecco finalmente che i nostri eroi ce l'hanno fatta: abbiamo prenotato il nostro hotel a Camigliatello Silano!
La scelta di Camigliatello Silano non è stata sofferta: eravamo abbastanza convinti che avremmo puntato a questa località. Courmayeur, Val d'Aosta, Trentino ed altre appetibili mete di montagna rimangono nei miei sogni, per il momento. Il fatto è che la Sila è, fra le altre cose, vicinissima: praticamente dietro l'angolo. L'abbiamo scelta specialmente per questa ragione. Ci andiamo in macchina e non è questo il problema, quanto il fatto che abbiamo al seguito un cagnolino che non ha mai compiuto un lungo viaggio in automobile! Be', noi lo conosciamo e sappiamo bene che l'automobile per lui non rappresenta un grosso problema, ma è anche vero che, fino a questo momento, non lo abbiamo mai costretto in macchina per centinaia di chilometri! Insomma, non vorremmo doverci fermare ogni cinque minuti e impiegarci un'eternità ad arrivare a destinazione! Dunque, paragonando le distanze per la Sila e per una qualsiasi altra località di montagna, la nostra ci sembra una scelta più che giusta.
Mmm, lasciatemi fantasticare! :P
Foto dal web: Sila
Inoltre, la vacanza sarà necessariamente breve, durerà solo tre giorni - da venerdì a domenica - ma... già non vedo l'ora! Sono letteralmente eccitata all'idea! Mi sembro una bambina! Abito in una località di mare, nello splendido Salento, e quando arriva l'inverno mi lascio puntualmente affascinare da ciò che qui non vediamo mai: dai paesaggi innevati, dagli chalet in mezzo alla neve, dalle accoglienti baite di montagna... Un sogno! 
Io la neve l'ho vista poche volte in vita mia, ecco. E quelle pochissime volte in cui l'ho vista, ero una bambina! Sembrerà strano, forse, ma è proprio così! Cavolo... perché diamine ci ho messo tanto a prenotare un week-end in montagna, soprattutto considerato che abbiamo la Sila a più o meno... tre ore di macchina?! 

Ma ora ci siamo. Manca poco più di un giorno. Sto già fantasticando su quello che infilerò in valigia. Ho vestiti abbastanza pesanti? Come ci si veste in montagna? Voglio dire, a parte tuta da neve, scarponi, guanti e cappelli, che cos'altro devo portare con me? Immagino di dover rinunciare a gonne, calze e tacchi. Accidenti, ho praticamente solo quello nel mio guardaroba! :D Ecco che cosa mi piace dei viaggi: prima di partire, bisogna sempre necessariamente comprare qualcosa di nuovo! :P

Il mio cagnolino: anche lui dovrà essere coperto a dovere. Dubito che riusciremo a trovargli una tuta da neve canina, ma possiede una mole sufficiente di maglioni e piumini, penso possano bastare. Spero che l'impatto col freddo non lo traumatizzi.

Cose che non potrebbero giammai mancare nella mia valigia: il libro "di turno" (quello che leggo sotto le coperte prima di addormentarmi), il mio e-book reader e, soprattutto, la macchina fotografica! Scatterò un sacco di foto! :)

Ah, il computer. Non riesco a separarmene. A ogni viaggio, vengo sempre assalita dal solito dubbio: portarlo con me o lasciarlo a casa? Disintossicarmi per tre giorni non sarebbe una cattiva idea...

Momento riflessione.
...


A riaggiornarvi!





Simona





martedì 26 febbraio 2013

Brezze Moderne, di Pietro De Bonis: le mie impressioni.

Dopo queste deludentissime elezioni, dopo aver messo su la prima lavatrice della giornata e dopo essermi ricordata di avere delle cose da sbrigare e aver appurato che si è ormai fatto troppo tardi per recuperare, eccomi qui a scrivere qualcosa per il blog. 

È di un libro che oggi vi voglio parlare, un libro che ho letto un po' di tempo fa, ma di cui - per i miei impegni universitari che ormai conoscete tutti - non ho potuto parlare prima.
Ho anche intervistato l'autore il mese scorso, e oggi invece vorrei parlarvi del suo libro, "Brezze Moderne", di Pietro De Bonis. Si tratta di una raccolta di versi, aforismi e riflessioni, scritti con una naturalezza e una spontaneità che sono state certamente le prime caratteristiche a colpirmi. Mi è piaciuto moltissimo, e non si tratta della solita raccolta poetica che non arriva agli altri. 
Per chi non lo sapesse, io sono molto affascinata anche dalla Poesia. Ne ho scritte, ho una raccolta inedita con più di un centinaio di poesie chiusa in una cartella di computer, quando ho l'ispirazione giusta continuo a scriverne, ne leggo volentieri, mi piace lasciarmi trasportare dalla bellezza e dalla morbidezza di qualche verso. Ma penso anche che la poesia sia molto più ermetica di un romanzo o di un racconto: c'è bisogno di sforzo per comprenderla, e anzi, non la si comprende mai del tutto. Dinnanzi a una poesia, mantengo sempre quell'atteggiamento di incertezza tipico di chi non vuole avere la presunzione di aver afferrato il punto, perché più di un racconto, la poesia mi sembra un rifugio istantaneo nel quale si nasconde l'autore, solo e soltanto lui in tutta la sua interiorità, lasciando spesso e volentieri tutti gli altri al di fuori. Mi mantengo sempre distante da una poesia, la tratto con riverenza, con rispetto, pensando di non poter essere mai in grado di comprenderla fino in fondo. 
Pietro De Bonis
Ecco, Brezze Moderne non mi ha fatto cambiare idea su questo versante, ma mi ha decisamente aperto una nuova strada: quella della poesia che, invece, è in grado di essere un po' di tutti. Ne concludo, quindi, che quella di Pietro non è una poesia ermetica dietro alla quale si nasconde un animo che non vuole parlare di sé e che non vuole comunicare agli altri. La poesia di Pietro, al contrario, arriva, arriva dritta e pungente, ed è tua, è mia, è di chiunque, non è solo di Pietro che l'ha scritta. Questo è quello che ho maggiormente apprezzato di quest'opera, questa capacità di differenziarsi dalla Poesia in generale, questo "essere poesia che non è proprio poesia", questo suo squisito carattere dalla natura indecifrabile. D'altronde, mi ricordo che neppure Pietro ama categorizzare i suoi versi. Quando ci si riferisce alla sua opera usando la parola Poesia, lui risponde: "Non dire Poesia, dì semplicemente Scrittura". È vero: lui scrive, e quando scrive lo fa in una maniera così scorrevole, naturale, spontanea, umana, che alla fine diventa difficile, forse impossibile, inserire la sua Scrittura in una categoria precisa. 
I versi di Pietro mi sono sembrati naturali e genuini, una penna scorrevole, a volte perfino rapidissima, come rapidissima sa essere un'emozione che istantaneamente ti entra dentro. Una scrittura che con la stessa rapidità ti tocca il cuore. 




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Pietro De Bonis presenta brevemente Brezze Moderne:
clicca qui per guardare il video.






Simona




sabato 23 febbraio 2013

Riduzione attività blog e sconto del 40% sui miei libri!

Manco dal blog (ma anche dal mondo, da me stessa e dalla mia vita) a causa degli esami in corso (che sarebbero gli ultimi prima di tuffarmi nella stesura della tesi, l'ultimo sforzo che precede l'agognata Libertà). L'attività del blog, infatti, come avrete notato si è ridotta notevolmente. Ho bloccato già da un po' di tempo la ricezione di nuovi testi da recensire (non me la sentivo di riceverne e lasciar crescere la "lista d'attesa" senza avere la possibilità concreta di adempiere al mio dovere!) e ultimamente ho rallentato di molto anche l'attività delle interviste. E' un periodo (questo in corso ma anche quello dei prossimi mesi) in cui qualsiasi cosa che non abbia a che fare con l'università mi deconcentra e mi rende mentalmente inagibile :P. Ho bisogno di essere a tu per tu con i testi di studio e con la mia meta dritta davanti a me, senza distrazioni e senza nulla che possa potenzialmente deviarmi dal mio dovere! 
Il mio blog verrà quindi aggiornato, certamente, ma con frequenza minore rispetto a prima.
Tornerò. E' una promessa ma potete leggerla anche come una minaccia, a seconda dei punti di vista. Tornerò, e attiva più di prima! 

Intanto, passavo da qui anche per comunicarvi la bella notizia che per tutta la giornata di oggi, fino alla mezzanotte, tutti i libri in catalogo sul sito della 0111 Edizioni sono scontati del 40%! Il che vale a dire che anche i miei romanzi lo sono! Così, troviamo "Jeans e cioccolato" a soli 9,60 Euro, e "Quel ridicolo pensiero" a soli 9 Euro! Non è eccezionale?
Per l'acquisto, è sufficiente iscriversi brevemente al sito, i metodi di pagamento sono comodissimi e la spedizione avviene in tempi ridotti!

Se avete voglia di leggere uno dei miei romanzi, approfittatene oggi. Ci sono minimo 6 euro in meno rispetto al prezzo di copertina! :)



Buona giornata a tutti!



Simona





venerdì 15 febbraio 2013

Libri tradotti da altre lingue: qualcosa inevitabilmente si perde.


È da un bel po' che mi porto dentro una certa sensazione di "fastidio" - ma probabilmente non è la parola giusta - nei confronti delle letture tradotte. 
Un libro non mi conquista solo per il suo contenuto, per il tema affrontato o per la storia raccontata, ma anche per com'è scritto, per lo stile, per la scelta delle parole.
Se leggo il libro di un autore italiano, sono piacevolmente rilassata, mi godo quello che ha scritto e come lo ha scritto, con la consapevolezza che tutto quello che è lì di fronte a me è solo e semplicemente il frutto delle sue scelte. D'altronde, per una a cui piace scrivere è inevitabile apprezzare anche questo dei libri.
Quando leggo il libro di un autore straniero tradotto in italiano, invece, nutro un certo sospetto, timore, quasi incertezza. Ne apprezzo il contenuto, senza dubbio, ma la forma esteriore? Non sarà certamente più importante del contenuto, del messaggio che la storia vuole comunicare, ok, ma la scrittura a mio avviso è molto altro: la scelta delle parole, le espressioni, lo stile utilizzato influenzano moltissimo i miei momenti di lettura.
Sarà poi che i miei studi universitari mi hanno indirizzato verso un certo tipo di "analisi" (laurea in Traduzione e Interpretariato!), ma tengo parecchio conto di questa sfaccettatura. 
Non riesco a farmi piacere un libro solo per le intenzioni dell'autore: io voglio sapere come l'autore ha voluto comunicare tutto. Se il traduttore è all'altezza, senza dubbio sarà in grado di non far sentire alcun tipo di differenza. È successo con diversi libri, con Norwegian Wood per esempio, con Lo Zahir di Coelho, e con molti altri: libri tradotti da altre lingue nella cui lettura io non ho sentito alcun tipo di fastidio. Stavo semplicemente leggendo un testo in lingua italiana, fidandomi di un traduttore che era in grado di farmi apprezzare la lettura.

Prendete invece l'esempio di Brida, di Paulo Coelho. La storia mi è piaciuta, è proprio lui, è Coelho a tutti gli effetti, queste sue storie affascinanti, che toccano il lato spirituale della vita, che ti portano a riflettere sulle cose. Ma la forma non mi ha convinta. Un linguaggio lento e noioso, troppo normale, senza slanci, frasi che mi sono sembrate "perfette grammaticalmente", come se questa fosse stata l'unica preoccupazione del traduttore. Ancora oggi mi ritrovo a domandarmi se questo sia stato il risultato di una traduzione "fatta male", o se il traduttore sia stato in grado di riportare abbastanza fedelmente il testo originale. Ma in quest'ultimo caso, significherebbe che Coelho ha scritto Brida con un linguaggio privo di slanci e di emozioni: non voglio crederlo. D'altronde, non potrò mai neppure verificarlo, giacché non conosco la lingua portoghese!

La mano del traduttore si sentirà sempre, purtroppo. La si sente per una semplicissima ragione: perché è inevitabile. Le lingue sono tutte diverse fra loro, hanno diverse strutture, diverse forme, diverse posizioni delle parole all'interno delle frasi, diversi sistemi grammaticali, diversi modi di dire le cose. I traduttori lo sanno: nel passaggio dal testo originale al testo d'arrivo, si perde inevitabilmente qualcosa. O la si aggiunge, magari, dipende dalle lingue in gioco e dalle loro strutture grammaticali e sintattiche. Togliendo o aggiungendo, comunque, avviene in ogni caso un cambiamento. Per quanto un traduttore si sforzi di restare fedele al testo originale, non potrà mai riportare perfettamente l'intento dell'autore. Qualcosa cambierà inevitabilmente, qualcosa andrà a perdersi, un'emozione particolare fra le righe, la voglia di esprimere un concetto in un determinato modo. Il compito del traduttore, quindi, è quello di non far sentire al lettore il peso di una traduzione, di una modifica, di un modellamento del testo originale. Il lettore italiano sentirà semplicemente di essere di fronte a un testo scritto in italiano, niente più di questo.
Ma chi come me si pone mille domande perfino quando legge, è spacciato. Saprà per certo che qualcosa manca, nel testo sotto ai suoi occhi. Quelle non sono le parole dell'autore, ma del traduttore. C'è chi afferma che un testo tradotto diventa perfino un nuovo testo, un altro testo, un testo a sé stante.
Da tutto ciò non si può sfuggire, questo passaggio è semplicemente inevitabile.

Tuttavia, la mia è una semplicissima constatazione: non vuol dire che non leggerò testi tradotti di autori stranieri! Ne sto leggendo e ne ho letti tanti, e continuerò a farlo. Solo che, per come sono fatta, nel corso della lettura non smetterò di sentirmi un po'... titubante! Specialmente quando, giunta alla fine, mi ritroverò ad aver apprezzato moltissimo la lettura: è lì che mi domando "Che cosa mi è piaciuto? Il pensiero dell'autore e la forma del traduttore?" 
Per me scrivere è queste due cose messe insieme: scrittura e pensiero sono inscindibili. Quando io scrivo, il mio intento non è solo di comunicare qualcosa, ma di farlo a modo mio. La penna dello scrittore è come il pennello dell'artista: attraverso uno strumento, danno vita alla fantasia, ma lo fanno nel modo in cui loro stessi percepiscono la realtà. E la percezione è troppo soggettiva per avere la pretesa che possa essere rielaborata, trasmessa, comunicata. Tradotta.

Mi piace un sacco leggere libri di autori italiani, proprio perché ho bisogno di immergermi completamente nel pensiero dell'autore. E il pensiero dell'autore non lo vedi solo attraverso il messaggio che ha intenzione di comunicare, o dietro la trama del libro, ma lo vedi anche attraverso le sue parole, le espressioni, gli idiomi, le scelte, i dettagli, una virgola di troppo o una parola plasmata che non ha alcun corrispettivo nella lingua di arrivo.

Non è nel modo più assoluto un post contro le traduzioni: come potrei se appartengo allo stesso "settore"? :) Anzi grazie, traduttori, perché ci danno la possibilità di conoscere autori che altrimenti non potremmo conoscere mai. Grazie soprattutto quando, con il loro talento, ci fanno dimenticare che il testo in lettura appartiene a un autore straniero e ce lo fanno apprezzare come se lo avesse scritto nella nostra stessa lingua!





Simona




giovedì 14 febbraio 2013

Autori emergenti, difficoltà nella crescita e l'importanza della promozione: le mie impressioni.


Da quando ho pubblicato nel modo in cui ho pubblicato io, ossia con una piccola casa editrice (sebbene free), la mia opinione nei confronti della pubblicazione è notevolmente cambiata. Anzi non è cambiata, è semplicemente maturata.
Il tempo e l'esperienza sono fondamentali affinché si possa comprendere la realtà del mondo editoriale nel quale ci si è introdotti. All'inizio non puoi capire subito: deve passare il tempo, devi apprendere dalla tua esperienza diretta, devi vivere i fatti. Diciamo pure che quello di pubblicare è troppo spesso un sogno talmente grande e quello per la scrittura un amore talmente intenso che al principio si hanno letteralmente... i prosciutti davanti agli occhi. Tagli di prosciutto belli spessi. Va be', diciamo pure un bel paio di fiorentine! Proprio come quando ci si innamora. Non è che non vedi i difetti, poi, è proprio che non hai ancora avuto il tempo di conoscerli! A quella fretta di pubblicare che sembra venire da un bel peperoncino piccante che ci hanno ficcato lì, si aggiunge naturalmente l'inesperienza

Un autore esordiente alle prime armi, di quelli che fino al giorno prima non sapevano neppure che cosa fossero le case editrici o che ne esistessero di free e a pagamento, di tutte le taglie (grandi, medio-grandi, medie e piccole), di quelli che hanno due fiorentine così davanti agli occhi e che sono mossi solo e soltanto dal quell'irrefrenabile desiderio di pubblicare, di vedere il proprio nome e cognome sul fronte di una bella copertina, uno di quei giovani che hanno voglia di fare strada nel mondo della scrittura e non sanno proprio da dove cominciare né dove andare a parare, ecco... un autore esordiente in questa condizione (ossia io quando ho pubblicato per la prima volta :P) rischia di cadere presto in uno stato non del tutto piacevole di profonda disillusione.
Perché essere "esordienti comuni" (dopo vi spiego che cosa intendo con questo attributo) non è facile: è una condizione che ci si cuce addosso come una camicia stretta e soffocante, per uscire dalla quale bisogna lavorare un bel po'. Essere "esordienti comuni" vuol dire, per quanto ho capito io sino a questo momento:

- essere letti da un numero striminzito di lettori (a meno che tu non sia una persona nota, o uno che si muove mooooolto nella sua promozione, non ti illudere sui numeri: si vendono sì e no un paio di centinaia di copie, ed è una stima ottimistica);

- dover venire a patti con i prezzi di copertina spesso troppo alti nonché indirettamente proporzionali alla qualità estetica dello stesso libro, e dover comprendere quanto vendere questi libri sia un'impresa colossale, come se si stesse rifilando al lettore il pezzo inesploso di una bomba a mano (si preferisce in generale comprare un libro che sia al di sotto o pochissimo al di sopra dei 10 euro e che sia, magari, pubblicato da un editore conosciuto, ben vengano Mondadori, Feltrinelli e via dicendo);

- rimboccarsi le maniche, rimboccarsi le maniche, rimboccarsi le maniche...;

- non illudersi che il tuo piccolo editore si prenda carico di tutto il lavoro che concerne la tua promozione: si tratta della tua promozione, quindi rimboccati le maniche e datti da fare (nella maggior parte dei casi è così, poi è ovvio che esistano le eccezioni, ci sono piccoli editori dinamici e pieni di iniziative, che si impegnano con tutti i loro mezzi a disposizione, ma, nel contesto in cui sono inseriti, i loro sforzi sono spesso vani e non servono certamente a dare fama ai propri autori);

- doversi dotare di intraprendenza, cercando di essere presenti e di farsi vedere, organizzando un sacco di presentazioni non solo per farsi conoscere ma anche per smaltire quelle possibili copie in conto vendita che hai preso dal tuo editore (sebbene con un proficuo sconto che ti consente di avere anche un guadagno che, se sei come me, rischia di passarti davanti agli occhi alla velocità della luce, senza neanche aver avuto il tempo di rendertene conto :P);

- non vedere mai il proprio libro nelle librerie, se non in quelle poche librerie della tua città che hanno accettato di esporre alla vendita n. 5/10 copie del tuo libro, come fosse un contentino (ma poi nelle rimanenti 40.000 librerie italiane non sanno neppure chi sei);

- avere difficoltà nel reperimento dei libri, ordini evasi con ritardo e ordini non andati a buon fine, siti importanti come Amazon che non accettano di collaborare con il piccolo editore di turno;

- elemosinare eventi, presentazioni, affrontare sguardi smarriti dinnanzi alle tue pubblicazioni sconosciute;

- rimboccarsi le maniche... Ah scusate, questo lo avevo già detto.


Ma chi sono gli "esordienti comuni"? 

Sono semplicemente coloro che, finito di scrivere un libro, lo propongono in valutazione a una piccola casa editrice. Alcuni scelgono la via della pubblicazione a pagamento e pubblicano quasi subito previo esborso di una proficua somma di denaro, altri scelgono di non sborsare un centesimo e attendono l'esito positivo dal piccolo editore free, esito che a volte arriva. Ma qui la questione non è come o con chi si pubblica: gli "esordienti comuni" sono tutti nella stessa barca, una barchetta modesta, con qualche buco non ben otturato, dal quale l'acqua minaccia sistematicamente di entrare, rischiando l'affondamento.
Gli "esordienti comuni" sono coloro, dunque, che non hanno alle spalle alcun tipo di fortuna, sono gli scrittori che non hanno vinto, per esempio, un concorso importante che prevedeva la pubblicazione del manoscritto, non sono scrittori che hanno partecipato al Campiello o allo Strega, non sono scrittori che così, da un momento all'altro, si ritrovano a vendere migliaia di copie perché hanno avuto la fortuna di avere un grande nome alle spalle, insomma non sono "esordienti straordinari", di quelli che si sono imbattuti in una qualche fortuna/vittoria che ha permesso loro di pubblicare magari con un bel popo' di editore. 
Quelli "comuni" sono scrittori che hanno deciso di pubblicare per sé stessi, per una soddisfazione personale, o forse perché credevano che pubblicando sarebbero diventati "scrittori". Non si aspettavano proprio questo tipo di trattamento!
Troppe case editrici in Italia, molte di loro mosse dallo stesso tipo di interesse.
Molti scrittori, anche, non c'è che dire.
Per una quantità non esattamente proporzionale di lettori, poi.
Ma questo è un altro discorso.

Spesso, quindi, gli "esordienti comuni", a un certo punto della loro fruttuosa carriera, fanno un incontro: quello con la propria disillusione. Ritornano con i piedi per terra e si pongono domande, rivalutando spesso ogni cosa.
Chiaramente sarà anche questa tutta questione di punti di vista, come tante questioni della vita, e di fronte a questo "incontro con la propria disillusione" gli "esordienti comuni" reagiscono in maniera diversa.
Io, per quanto mi riguarda, non sono contenta e soddisfatta relativamente alla mia condizione di "esordiente comune", perché mi rendo conto che questo tipo di percorso vale più o meno come dire "non ho mai pubblicato". Si resta sconosciuti, i nostri sforzi non sono ripagati. Ma è probabile che molti altri "esordienti comuni" siano invece contenti e soddisfatti. Dipende. Dipende da che cosa si desidera, dipende dal modo in cui si valutano e considerano questi tipi di pubblicazione, dipende da che cosa se ne ricava.


Come uscire dalla condizione di "esordienti comuni"?

A volte non se ne esce, si resta "esordienti comuni" a vita, ogni anno letti magari da una decina di lettori in più (:D), così che se lo scorso anno hai avuto un totale di, per dire, 200 lettori, quest'anno hai la soddisfazione di notare un aumento: sono 210! :D
Spesso non se ne esce ma va bene così. Perché pubblicare è già una soddisfazione di per sé e non ci interessa minimamente che i lettori aumentino, che i nostri libri raggiungano più case, che le vendite facciano un grande salto di qualità, o che la fama ci travolga [ipocrisia]. 
Se ne esce raramente. Ne esce probabilmente uno su mille, chi ha realmente talento. Ma non solo: il talento non basta se te ne stai con le mani in mano. Chi vuoi che si accorga del tuo talento se non lo fai vedere? Se non ti fai vedere tu, utilizzando ogni modo o mezzo possibile, in mezzo a questa babele editoriale in cui ci troviamo e in cui tu sei semplicemente invisibile, come credi che ti si possa notare? Se non alzi il dito in mezzo a un grande pubblico, nessuno può capire che vuoi dire la tua

Per questo motivo ultimamente insisto nel credere che sia quantomeno utile (sebbene non vada necessariamente a buon fine) affiancare a un'accanita promozione anche la partecipazione a concorsi letterari.  Li suggerisco perché:
- concorsi letterari piccoli e insignificanti vanno anche bene per accrescere il proprio curriculum letterario, ma anche concorsi letterari di maggiore importanza, a livello nazionale e internazionale;
- è bello competere, è molto umano (quando è fatto con spirito amichevole). Sapere che in gara c'è un tuo scritto, e che sta concorrendo insieme ad altri scritti... dà la giusta carica per sperare, la giusta energia per continuare; e se vinci, infila subito la tua vittoria nel tuo curriculum: questo fa parlare, è un modo come un altro per attirare qualche paio di occhi in più su di te e sulla tua attività;
- spesso, in contesti più rilevanti, anche se non arriva la vittoria ci possono essere segnalazioni, cose di questo genere. Si presuppone che la giuria sia sempre composta da esperti del mondo letterario: chi meglio di loro può valutare il tuo scritto e ritenerlo, eventualmente, degno di nota?

I concorsi letterari sono, diciamo, una bella ciliegina sulla torta: un modo divertente di mettersi alla prova mentre quotidianamente continua la tua normale promozione.

La pigrizia mista a un senso di demoralizzazione in partenza mi ha sempre impedito di partecipare a concorsi letterari, ai quali tuttavia ho sempre guardato con fervido interesse. Ma ora è arrivato il momento anche per me. Ci voglio provare, mi voglio divertire, voglio mettermi alla prova. Perché sono un' "esordiente comune" con la voglia di crescere, e voglio credere che per crescere sia necessario percorrere strade che non si sono ancora percorse.






Simona



mercoledì 13 febbraio 2013

"Un segreto di famiglia": intervista a Ivonne Boscaino.


L'autrice che vi propongo oggi è Ivonne Boscaino
Ha scritto "Un segreto di famiglia", romanzo che ha ottenuto
riconoscimenti e commenti assolutamente positivi.
L'ho intervistata per voi 
ed ecco qui di seguito che cosa ci siamo dette!








Benvenuta Ivonne! Il libro di cui parliamo oggi è il primo romanzo da te pubblicato, dal titolo “Un segreto di famiglia”. A che genere letterario appartiene? Ci racconti un po’ la trama? 

Ivonne Boscaino
È difficile incastonare questo libro in un genere preciso. Diciamo che è una storia di famiglia, un po’ corale, che affronta una tema piuttosto attuale, vale a dire l’accettazione dell’omosessualità in una famiglia meridionale molto legata. Il romanzo racconta dell’esperienza di una giovane ragazza di nome Marta che, nel momento di una grave malattia della nonna, scopre l’esistenza di uno zio che non sapeva di avere. Zio che era stato appunto allontanato da casa nel momento in cui aveva dichiarato di essere omosessuale. Il romanzo si incentra, principalmente, sulle dolorose fratture di questa famiglia e sul tentativo faticoso di ricomporle nell’ottica della tolleranza. 

Che cosa speri di comunicare attraverso il titolo che hai scelto? Il romanzo, invece, quale messaggio contiene? 

Il titolo, ovviamente, vuole incentrarsi sull’abitudine di molte famiglie di nascondere tutto ciò che non è considerato accettabile e dignitoso. Un segreto, per l’appunto, uno scheletro nell’armadio. Anche io, comunque, alle volte mi chiedo quale sia il vero messaggio di questo libro perché ne ha diversi. Un invito alla tolleranza, senza dubbio. Come anche la realizzazione dell’inutilità di nascondere i segreti: prima o poi vengono a galla con tutto quello a cui sono legati. Sopra tutto ciò, però, il messaggio principale è che l’amore va sempre bene, non importa se le persone che lega sono dello stesso sesso o di sesso diverso, è la sincerità del sentimento che fa da discriminante. 

“Un segreto di famiglia” è il primo libro che hai scritto o ci sono state in precedenza altre prove letterarie? 

“Un segreto di famiglia” è stato il mio primo romanzo edito. In passato ho partecipato a una raccolta di racconto noir della Casa editrice Effequ intitolata “Matrimoni”. Ho poi scritto altre cose che però sono ancora nel cassetto. Per il futuro intendo cimentarmi nell’auto pubblicazione in Internet per provare a esplorare anche questo mondo. 

So che “Un segreto di famiglia” si è classificato primo al Premio Letterario Città di Castello e ti faccio i miei complimenti! Come mai la scelta di partecipare a un concorso letterario? E come mai proprio il Premio Letterario di Città di Castello? Insomma, raccontaci un po’ di questa esperienza! 

Non è stata una scelta fatta alla leggera. Come molti autori esordienti prima di arrivare al concorso letterario mi sono affannata a fare tanti pacchetti di fotocopie e a spedire la mia opera in giro a diverse case editrici. Con gli esiti che immagino tutti gli esordienti ben conoscono. Nella migliore delle ipotesi ti viene detto che non interessa, nella peggiore che se tra tre mesi non sai nulla, non interessa. Della prima trentina di case editrici che ho contattato ci sono state ovviamente quelle che hanno chiesto soldi in cambio di pubblicazioni ricevendo un “no, grazie!” come risposta. Una sola mi ha offerto un commento che, però, non mi ha dato molto né a livello umano né a livello letterario. A questo punto ho cominciato a sondare il mondo dei concorsi letterari cercando tra quelli che avevano giurie serie e che non erano il solito trucco del tipo “tu ci dai dei soldi, noi ti ficchiamo in un’antologia che fotocopieremo in unica copia”. Fatta questa prima scrematura, quelli che accettavano romanzi inediti erano veramente pochissimi. Il Premio Città di Castello era appunto uno di questi. Era una sfida perché rispetto alla stesura originale il romanzo andava tagliato di una quarantina di pagine, il che l’ha reso più scarno e decisamente più convincente. Quanto all’aver vinto, beh, quella è stata una sorpresa enorme anche per me. Quando mi hanno chiamato sapevo di essere nella selezione dei primi dieci. Poi sono rimasti solo i primi tre. E alla fine sono rimasta solo io. Un po’ sconvolta, molto incredula e incapace di spiccicare due parole in fila. Non ho mai osato risentire quello che ho detto mentre mi premiavano… 

Pensi che la vincita a un concorso, anche se piccolo, possa conferire ancora più valore a uno scritto? I tuoi lettori si dimostrano affascinati dal fatto che “Un segreto di famiglia” abbia anche vinto anche un concorso? 

Come detto sopra, dipende dal concorso. La Giuria della Sezione Narrativa del Premio Città di Castello ospita dei nomi importanti come Valerio Massimo Manfredi, Barbara Palombelli e Giovanni Bogani. Passare questo tipo di selezione garantisce comunque che un’opera abbia qualche merito. A livello di pubblico, però, non ha questa grande importanza. Certo attira, ma non è un fattore determinante per la promozione. 

Quali sono state le emozioni che ti hanno mosso nel corso della stesura di questo libro? Si tratta di un’opera completamente di fantasia o possiamo trovarci qualcosa di tuo fra le righe? 

Ti sfido a trovare un libro che tra le righe non abbia qualcosa del suo autore. Succede in tutti i libri. Questa storia, però, non è autobiografica. Potrebbe essere accaduta nella mia famiglia? Sì, senz’altro. Però, non è accaduta. Certo è una storia perfettamente verosimile. E sicuramente mi ha emozionato scriverla. La prima volta che l’ho fatto. Da quel punto in poi, da quando cioè inizia il lavoro di redazione vero è proprio, l’emozione è meglio lasciarla perdere in favore di un minimo di obbiettività e di un deciso abuso di grammatica e sintassi. Alla fine, più che emozionarti, il libro che scrivi deve arrivare a un certo punto, portando avanti certe convinzioni, trasmettendo quello che vuoi dire. Questo è il lavoro più faticoso di chi scrive. Poi, ovvio, l’emozione rimane. 

Ho notato che hai ricevuto dei commenti molto positivi sul tuo libro. Secondo te, che cos’è che i lettori apprezzano maggiormente in questa lettura? 

Più che secondo me, ti dico quello che hanno apprezzato loro di più: la delicatezza. In effetti su un tema come quello che ho scelto si possono fare le barricate, non ci vuole nulla a risultare volgari o offensivi. Io mi sono sempre sforzata di restare calma, di fornire modelli che fossero intensi, ma realizzabili. Ti faccio un esempio banale che cito spesso quando parlo di questo libro. A un signore di una certa età è capitato di leggere questo romanzo e in seguito mi ha parlato in maniera diffusa di quello che ha provato leggendolo. In primo luogo mi ha detto che non riusciva a staccarsi dal libro: l’ha finito in una nottata. Poi ha aggiunto che il mio libro gli aveva fatto cambiare idea, che fino a quel momento non aveva mai pensato che due uomini potessero amarsi e che aveva sempre giudicato l’omosessualità come una perversione legata al sesso e basta. La mia più grande conquista! 

In che modo ti stai muovendo per promuovere il tuo libro? Ti senti appoggiata dal tuo editore o ritieni di avere il carico maggiore sulle tue spalle per quello che concerne la promozione? 

Simona cara, questo è un tasto dolente. Ad essere sincera il mio editore non ha fatto quasi nulla per la promozione. All’inizio gliene ho fatto veementemente una colpa poi, però, mi sono resa conto che in Italia se non ti chiami Feltrinelli o Mondadori o Einaudi, non hai le forze per promuovere un libro come andrebbe effettivamente promosso, non hai le possibilità. E come sappiamo tutti, l’accesso a queste case editrici è complesso. Molte, ormai, lavorano solo con le agenzie letterarie come tramite e questo impone spese che un giovane esordiente non è quasi mai in grado di sostenere. Certo, il mio editore avrebbe potuto facilmente fare qualcosa di più, ma il mio caso è simile a quello di molti altri. All’inizio ho seguito dei modelli promozionali classici, con presentazioni in librerie et similia. Ora mi sto muovendo principalmente in rete (con la speranza di realizzare presto un’edizione ebook del mio romanzo) e devo dire che è un modo di fare promozione veramente affascinante. Ti porta a conoscere la gente più diversa, come ne l nostro caso, per esempio. 

In questo momento stai scrivendo un nuovo romanzo o comunque hai intenzione di scrivere ancora? 

Io scrivo sempre. Tutti i giorni. Cinque pagine al giorno. Anche se poi finiscono nel cestino, virtuale o no. La scrittura è un atto fisico oltre che mentale. Richiede esercizio costante. Ci sono già due romanzi pronti nel cassetto e tanti file nel mio pc che meriterebbero una cura più attenta da parte mia, ad avere tempo. D’altronde chi scrive lo sa, è come una malattia dalla quale non si guarisce mai: non si può fare a meno di raccontare. 

Grazie per essere stata con noi, è stato un vero piacere! 

Ringrazio te per lo spazio che mi hai tanto cortesemente dedicato. 



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Per info e contatti:





Simona





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Per rispondere a un'intervista, scrivimi: alamuna@gmail.com


lunedì 11 febbraio 2013

Segnalazione: Chez Alì, di Martina Fragale.

Stamattina, prima di tuffarmi nuovamente, come tutte le mattine, nella vastissima piscina di studio in cui sono costretta a nuotare durante questa lunghissima sessione d'esami, vorrei scrivere una breve segnalazione per il mio blog. 
Si tratta di un nuovo libro della 0111 in uscita questo mese, Chez Alì, di Martina Fragale.
Vi svelo che avevo voglia di segnalarvelo già da un bel po' di tempo, praticamente dal primo momento in cui l'ho visto comparire fra le "prossime uscite" sul sito della casa editrice, ma solo ora sono riuscita finalmente a procurarmi l'immagine di copertina! 
Credo che le immagini abbiano un impatto immediato e un effetto fortissimo su di me: se mi piacciono i colori della copertina, la disposizione degli elementi nell'immagine, quello che mi comunicano e poi il titolo... be', mi conquistano. 
La copertina di Chez Alì mi ha fatto questo effetto, non so a voi. I colori sono praticamente i miei preferiti, colori caldi, un giallino sfocato, quasi un effetto seppia unito con il rosso, una tonalità che mi comunica un senso di caldo e d'estate, mi fa pensare... alle tre del pomeriggio di un'estate bellissima. Perché? - vi domanderete. E che ne so! Lo studio si è impossessato delle mie facoltà mentali :P!
A ogni modo, tre del pomeriggio o meno, io chez Alì ci voglio andare... e voi? :)

Vi segnalo il link dove si possono leggere gratuitamente le prime pagine del libro, giusto per farsi un'idea del romanzo prima della lettura ---> cliccate qui.


Sinossi:
Bar di giorno, cabaret clandestino di notte: sullo sfondo di una Milano fragile e multietnica, “Chez Alì” è crocevia e punto d’incontro di un variopinto universo umano. Fra i suoi frequentatori più assidui c’è anche Magda: trentenne neolaureata che sbarca il lunario lavorando come precaria in un centro solarium. Fra bicchieri di tè alla menta al bar di Alì e scambi di battute al vetriolo con l’amico Antonio, la vita di Magda scorre tranquilla fino al giorno in cui la ragazza si imbatte – per puro caso – in un giovane sans papiers cileno di nome Manuel e in tre chili di cocaina. Magda e i suoi amici si troveranno bruscamente faccia a faccia con un mondo sconosciuto: quello della Milano criminale in cui Manuel è rimasto suo malgrado coinvolto. Attraverso una serie di avventure tragicomiche, Magda vedrà entrare in crisi il suo piccolo cosmo quotidiano e, accanto a Manuel, scoprirà una nuova realtà, fatta di instabilità e ferocia, ma anche di inesauribile vitalità.




Simona



sabato 9 febbraio 2013

Un tuffo nel... mio blog!


Per puro caso, oggi mi sono ritrovata a rileggere alcuni vecchi post del mio blog, a partire da un'etichetta su cui ho cliccato. E' stato una sorta di "tuffo nel passato", giacché, a guardarlo da un certo punto di vista, è come se il mio blog avesse trascorso delle "fasi" che, come una conseguenza naturale, sembrano coincidere con le "fasi" della mia vita in questi ultimi anni. Il blog è infatti aperto ormai da più di due anni e in tutto questo tempo non ho mai smesso di rifugiarmi fra le sue pagine, rappresentando per me una specie di "seconda casa". Tutti quei post, in un certo senso, hanno "scandito il tempo". Il blog ha camminato con me, passo dopo passo. Cambiando, anche, insieme a me.

Come molti sapranno, questo blog è nato come semplice vetrina per le mie poesie inedite e per i raccontini brevi, ma sin da subito è diventato anche una sorta di "diario personale", perché adoravo venire qui e raccontarvi le mie avventure e disavventure quotidiane, oppure riportarvi semplici riflessioni. E' una cosa che amo fare ancora, ma ultimamente il blog è diventato sempre più spesso e volentieri un angolo di divagazioni su libri, autori emergenti e arte, mentre nella vita reale lo studio prende il sopravvento sugli altri impegni, per cui sostanzialmente resta poco tempo per dedicarmi al lato "personale" del mio blog.
Ma oggi è stato stupendo rileggere alcuni dei vecchi post! Così mi è venuto in mente che sarebbe stata un'idea piacevole quella di fare un breve viaggio indietro nel tempo insieme a tutti voi. E' anche un modo per far conoscere il mio blog a chi lo segue solo da poco tempo, e farvi vedere come questo sia sostanzialmente un blog "multiforme, variegato e versatile", che non si occupa solo di recensioni e interviste :).

Ho raccolto per voi alcuni dei post che mi sono ritrovata a leggere oggi, e ve li ripropongo :).

Sì, perché forse non molti di voi sanno che il mio blog è un accumulo di racconti dalla natura variegata
Molto, ma molto tempo fa, c'è stato un momento, per esempio, in cui ho tagliato i miei lunghissimi capelli e non resistevo a tempestarvi di post in cui mi lamentavo apertamente di quel gesto inconsulto :P. Ora finalmente i miei capelli sono cresciuti, raggiungendo la lunghezza che andavo agognando a quei tempi. :) 

Non tutti sanno, inoltre, che sono una specie di "patita dello shopping". Be', è da non prendere completamente alla lettera, tuttavia. Quando affermo ciò, infatti, non vuol dire che faccio sempre shopping, ma semplicemente che mi piacerebbe poterne fare in abbondanza! Diciamo pure che lo shopping è una passione che non sempre posso "sfogare". Insomma, mi piacerebbe starmene spesso nei negozi e dare al mio portafoglio ragione d'esistere, ma si sa, è una pratica a cui gli italiani non si possono dedicare troppo ultimamente. Quindi anch'io - sebbene abbia passato momenti di preoccupante "shopaholicismo" - ho dovuto mettere da parte questa specie di "mania" e, quando mi trovo in giro per negozi, sono costretta a tenere a freno il "demonio" che s'impossessa di me in quei momenti :D. A tal proposito, mi sono imbattuta in questo post che mi ha permesso di sorridere al pensiero che... che io sono anche questo! :)

Navigando navigando, è poi venuto fuori anche un post in cui vi raccontavo di una bella sorpresa di compleanno organizzata per il mio ragazzo. Il secondo compleanno insieme per la precisione, e la seconda sorpresa organizzata con dovizia di particolari. Sono un'amante delle sorprese, sono brava a organizzarne e anche a non fallire nel tentativo di nascondere tutto alla persona in questione! La sorpresa per il primo compleanno fu fantastica, e quella per il secondo non ha avuto nulla da invidiare alla precedente, con la mia meravigliosa idea di regalargli "il relax", finendo poi per ridurlo a un vero straccio :D. Però ritengo possa essere uno spunto per chi volesse fare un regalo un po' diverso dal solito. E ve lo raccontavo in questo post.

Per restare in tema, potrei inoltre citarvi il nostro primo San Valentino insieme. A distanza di tanto tempo, mi chiedo come abbia fatto, io, a pensare di regalargli un paio di... pantofole! Un San Valentino da non dimenticare, di certo! :P

Ma a parte questo, di post "deliranti" ce ne sono stati nel mio blog, effettivamente. Come quelle simpatiche liste che mi piaceva scrivere di getto, senza troppe riflessioni e troppi pensieri. O i post in cui vi raccontavo fatti quotidiani come il tentativo di "abbordaggio" da parte di un "esemplare maschile" :D. O ancora come quella scioccante ripresa fatta in occasione del mio primo Giveaway (pratica diffusa fra blogger, che consiste nel "dare via" qualcosa di tuo, allo scopo di accaparrarsi "followers"), un miserissimo Giveaway con una decina di iscritti in cui mettevo in palio un improponibile set collana-bracciale al quale diedi un nome demenziale :P, un video sicuramente "d'effetto" girato con spirito auto-ironico che, a rivederlo, mi ha fatta davvero morire dal ridere (della serie: ma mi nascondevo davvero io dietro a quell'obiettivo?). 

Poi arrivò un momento in cui credevo di essere diventata improvvisamente e per chissà quale miracolo divino una persona salutare. Avevo incominciato dopo non poche disavventure a fare jogging, e difatti per un arco di tempo di circa tre mesi o anche di più rimasi fedele al mio obiettivo di diventare "una jogger convinta". Poi deve essere successo qualcosa, perché... mmm, non credo d'aver mai raggiunto quell'obiettivo! Chissà quando è stata l'ultima volta che ho corso. Me ne sono dimenticata :P. 

Ma il mio blog, a parte un accumulo di baggianate, ha anche avuto i suoi momenti riflessivi. Come quello in cui vi ho raccontato della bontà di un uomo di colore su un autobus perugino, o quello in cui mi sono soffermata a riflettere sull'importanza di ridere, o quando mi sono chiesta se le persone riescono a fare nella vita quello che vorrebbero davvero fare o se piuttosto si accontentano di posizioni scomode e poco ambite. O quando semplicemente mi lasciavo andare a certe "elucubrazioni mentali" allo scopo di trovare una qualche risposta, e quella volta che invece, mossa da un episodio della mia vita, riflettei sull'importanza di ri-partire da un punto, senza necessariamente ricordare dove e quando precisamente tutto è successo per cercare di risolvere la faccenda. Spesso i punti precisi nel tempo sfumano e hanno i contorni sfrangiati, cercare soluzioni attraverso il ricordo è spesso un'ardua impresa. Oggi promuovo - scrivevo - i punti di ri-partenza. Ma poi io - in quel caso specifico - non sono mai "ri-partita". 

Riandare indietro nella storia del mio blog è stato una distrazione gradevole. Mi ha tolto tempo prezioso allo studio, è vero, ma in compenso ho ottenuto dei piacevoli sorrisi, e qualche breve momento di commozione. :)




Simona



Segnalazione: invia il tuo racconto breve. Un'iniziativa di Pierpaolo Buzza.


Ciao a tutti!
Oggi vorrei segnalarvi un nuovo progetto di Pierpaolo Buzza. Avete già sentito parlare di lui perché di recente ho pubblicato un'interessante intervista in cui Pierpaolo ci descriveva le caratteristiche di un corso di scrittura autobiografica con sede a Roma.

Pierpaolo ha un sito ben strutturato, si occupa come avrete capito prevalentemente di scrittura, e questa sua nuova iniziativa prevede la pubblicazione sul suo sito dei racconti da lui maggiormente apprezzati fra quelli che voi invierete servendovi di questo semplicissimo modulo.

Insomma, se vi va di partecipare, sarà sufficiente inviare il vostro breve racconto (max 2 cartelle) all'indirizzo sopra riportato. Pierpaolo li leggerà tutti e valuterà quali pubblicare sul suo sito.

Potrebbe decisamente essere una buona occasione per usufruire di una "vetrina in più" per voi e per la vostra promozione. :)

Spero che l'iniziativa sia di vostro gradimento!

Buona giornata a tutti!

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