Scritta scorrevole

"Go as far as you can see, when you get there, you'll be able to see further" (T. Carlyle)

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Insegnante di inglese appassionata di scrittura e di fotografia e profondamente innamorata degli animali. Questo blog è un ampio rifugio in cui condivide passioni, letture, riflessioni, novità sui suoi libri e molto altro. INSTAGRAM: @simona_giorgino (profilo autrice), @photosfromthewind (profilo fotografico).

giovedì 7 febbraio 2013

Scrivi per il pubblico o scrivi per te stesso?


Ho capito, non sono fatta per scrivere soltanto per il pubblico. Non sono fatta per accontentare i gusti dei lettori e per annientare i miei. Non sono fatta per impedire alla fantasia di spiccare il volo e andare a parare dove preferisce. Non riesco - ok, forse non ci ho ancora provato? - a comandare la mia creatività e indirizzarla verso una direzione che lei non avrebbe preso. In realtà, non credo neppure che qualcuno possa riuscire, neanche con uno sforzo sovrumano, a conquistare l'unanimità dei propri lettori. Neppure se con un solo libro riuscisse a racchiudere tutti i generi letterari esistenti sulla faccia della terra. 
C'era un tempo in cui mi domandavo: "Devo lasciare che i lettori mi riconoscano in un determinato modo di scrivere? Devo permettere loro di associare il mio nome a un genere letterario? Devo lasciare che mi si categorizzi? Devo impormi di scrivere sempre in un modo per permettere ai lettori di riconoscermi e di non rimanere smarriti?". Era un dilemma nato ai tempi del primo romanzo, quando ancora non sapevo niente del mondo dell'editoria, e quando ancora credevo che in qualche modo sarei riuscita a restare ancorata al mio tempo, come se il tempo non passasse e come se io potessi rimanere immune al suo passaggio. 
In realtà ho sempre saputo che uno scrittore, come qualsiasi artista, come qualsiasi persona che libera la propria creatività dal profondo del suo spirito, non può imporre dei freni alla sua fantasia. Per me, almeno, imposizioni di vario genere significano mettere un freno a quella che è prettamente un'esigenza di esprimermi, di lasciarmi andare, di abbandonarmi alla creatività, di liberarmi dalle catene. La scrittura per me è questo. Perché io scrivo per me stessa, non lo faccio per lavoro o per mestiere: io scrivo perché ne ho bisogno e, pubblicando, spero di regalare qualche mia piccola emozione ai lettori. Ma le emozioni hanno le ali, e io non riesco a tenerle a bada. 
Ora so una cosa: ho bisogno di essere libera, ho bisogno di pensare che sto scrivendo per me stessa innanzitutto. Se uno scrive per se stesso, se uno si lascia trasportare solo dalla sua fantasia, penso che i suoi lavori potranno essere di gran lunga migliori: una vera autenticità. 
Ecco dunque che fra i due romanzi pubblicati fino a questo momento intercorre una piccola differenza (e, anticipando qualcosa, ci saranno differenze, penso io, anche con il prossimo lavoro). Non una differenza abissale, certamente, ma una piccola sfumatura che cambia comunque il mio modo (e forse anche quello del lettore) di percepire "Quel ridicolo pensiero" rispetto a "Jeans e cioccolato". E ne sono certa: non scriverò mai romanzi totalmente diversi o addirittura opposti nel genere, sono nata e cresciuta affascinata dalla sfera intima e umana della gente, nonché dai sentimenti, ed è certamente un aspetto che non trascurerò mai nei miei scritti, ma ho bisogno di sapere che posso essere libera di esprimermi nel modo in cui, quando sono a tu per tu con il foglio bianco, io ho voglia di esprimermi.

Uno scrittore che scrive per mestiere deve tener conto certamente dei sentimenti del pubblico che lo legge. Be', ritengo che lo scrittore per mestiere debba imparare a scendere a compromessi, debba rinunciare a qualcosa di estremamente suo per andare incontro agli altri. È una specie di scambio: tu mi leggi, io scrivo per te. Lo scrittore per mestiere sviluppa probabilmente una stupenda collaborazione fra la sua creatività e la necessità. Ma non potrà mai rinunciare, non del tutto, a quello che è dentro di lui: la sua interiorità troverà comunque il modo per venire fuori dalle righe, come un fiume in piena che straripa dai margini, e un lettore attento, sfido io, se ne accorgerebbe.

Ecco una domanda che mi ha rivolto Tiziana Iaccarino nella sua ultima intervista per il suo blog "Il profumo della Creatività". È qui che spiego quanto per me sia importante lasciarmi andare, senza pensare che a uno piacerò e all'altro forse no. ^^ 


Infine ti chiedo cosa deve aspettarsi il tuo pubblico dalla Simona Giorgino che ha voluto differenziare i generi letterari della prima opera rispetto alla seconda? Se nel primo romanzo il pubblico magari ti collocava nella commedia, genere per il quale mi sento di dirti che hai veramente talento, come deve reagire nel trovarti ben diversa per il secondo?

RISPOSTA:
Grazie per questa interessante domanda. Io ritengo fermamente che uno scrittore, come accennavo prima, scriva prima di tutto per se stesso, e non solo per il pubblico. Scrive perché sente qualcosa dentro, perché ne ha bisogno, ne sente l’esigenza, scrive per dire qualcosa, scrive perché la scrittura è uno strumento attraverso cui scavare dentro se stesso, esprimere le sue emozioni, lasciare libera la sua fantasia. Le imposizioni non mi piacciono, non mi sono mai piaciute, io scrivo in maniera molto libera, non mi impongo mai una trama, per esempio, i miei personaggi e tutto quello che ruota intorno a loro, dalle ambientazioni agli episodi, vengono fuori nella maniera più spontanea possibile, a partire da una parola o da un’emozione, a partire da quello che ho dentro di me in quel momento. E soprattutto ritengo che ognuno di noi, anche i non-scrittori, procedendo nel tempo sia soggetto a piccoli cambiamenti, innanzitutto interiori. Io sento dentro di me dei piccoli cambiamenti, e sono convinta che la scrittura, essendo una parte integrante di noi, non possa rimanerne fuori. Se cambio io, è inevitabile che cambi anche il mio modo di vedere il mondo e, quindi, quello che scrivo. Tutti i più grandi scrittori o quasi, mi ricordo, hanno spesso avuto queste “deviazioni di percorso”: in realtà erano deviazioni del loro animo e cambiare modo di scrivere o il contenuto delle loro storie non era esattamente una loro scelta ragionata. La questione è più semplice di quanto sembri: semplicemente, quando ho scritto Jeans e cioccolato sentivo dentro di volermi dedicare a una storia divertente - nell’anno precedente, oltretutto, mi ero accostata per la prima volta alla lettura di romanzi appartenenti a quel genere letterario; quando ho scritto Quel ridicolo pensiero sentivo dentro un nuovo tipo di impulso. E, forse, anche adesso sento un nuovo tipo di impulso. Non lo so, non lo so davvero: scrivere per me è una tale libertà che mi riesce difficile persino parlare di imposizioni. Non so che cosa verrà fuori dai prossimi romanzi, è possibile che un giorno scriverò ancora una storia totalmente divertente come Jeans e cioccolato o che ne scriverò una totalmente deprimente! :D Dipende dal momento, da quello che uno sente dentro. Ti faccio un piccolo esempio: sta per uscire (e lo dico in anteprima) un breve racconto che verrà pubblicato in formato digitale. L’ho scritto prima di Jeans e cioccolato e ovviamente prima di Quel ridicolo pensiero. Lo amo, gli sono molto legata: è un racconto diverso, un racconto che vuole scavare dentro i personaggi, un racconto che vuole sfiorare, seppur molto da lontano, la loro parte spirituale. In quel momento, evidentemente, era così che mi sentivo. Probabilmente c’è una cosa in comune a tutti i miei scritti, sinora: il lieto fine. Mi piace pensare che le storie finiscono bene, mi piace poter trasmettere un senso di positività al lettore. Però non riesco a controllare la scrittura, è una cosa che va al di là di me. Conoscendomi, posso affermare che continuerò certamente a scrivere sentimentali e storie che in qualche modo possano scavare all’interno dei personaggi, questo sì, perché sono particolarmente affascinata dalla sfera intima, mentale, emotiva e anche spirituale dell’uomo. Ma non mi sento di affermare altro, anzi sì, una cosa ancora: ho capito che non mi interessa per niente essere collocata in un genere letterario, o essere ricordata come una scrittrice di una determinata categoria. Non credo che fra le mie opere ci saranno mai distacchi abissali, ma io amo dare le ali alla mia fantasia, amo esprimere me stessa attraverso la scrittura. Se dovessi scrivere sempre in un modo solo per essere apprezzata dal pubblico, non sarei più me stessa. Poi, secondo me sarebbe anche del tutto inutile: i gusti dei lettori sono troppo svariati per cercare di farsi apprezzare da tutti. I lettori hanno apprezzato Jeans e cioccolato, ma hanno apprezzato anche (e finora mi sento di dire anche di più) Quel ridicolo pensiero. Quali fra i miei lettori, quindi, dovrei accontentare? Scusa la franchezza. Spero ovviamente che continueranno ad apprezzarmi anche nelle prossime opere, sebbene in qualche sfumatura potrebbero essere diverse dalle precedenti.


Ovviamente l'intervista è molto più di questo. Se volete leggerla integralmente per scoprire le curiosità che racconto rispondendo alle altre domande, cliccate qui




Simona



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