Elisa sorride mentre le scorre lungo la schiena un brivido di freddo. Il collo bianco, pallido, circondato da una catenina d’argento che sfiora le clavicole sporgenti, fa capolino da un ammasso di folti capelli color nocciola tenuti sciolti sulla schiena e sulle spalle. La mano sottile, soffice, liscia, si unisce all’altra in uno scambio delicato, in un tocco leggero e ingiustificato, di dita che si stringono per poi sciogliersi nuovamente e tornare a posarsi su altre superfici. Gli occhi, contornati da una matita verde smeraldo e folte ciglia allungate dal mascara, si posano un po’ dappertutto, compiono svariati tragitti e non sembrano avere una meta precisa; fanno viaggi inusuali e immotivati, per poi atterrare in luoghi altrettanto immotivati: il vaso dei fiori, il soffitto, il quadretto della tovaglia, l’angolo del tavolo consumato dall’usura. C’è uno strano imbarazzo a questo tavolo, che si aggiunge all’assenza di parole e alla presenza di pensieri non espressi. Pietro lo capisce e cerca di rompere il ghiaccio iniziando una conversazione su niente di speciale, e dopo qualche minuto la situazione sembra appianarsi, e l’imbarazzo sembra lasciare posto a un caldo scambio di pensieri che avviene a voce piuttosto bassa, a volti vicini e a mani che quasi si sfiorano. Si incanala, fra le parole che ora scorrono a fiumi, un senso di sospensione del tempo, di realtà che svanisce, come quando si atterra in quel luogo segreto dove gli amanti si incontrano per la prima volta.
Dal racconto "Mille vie fino a te", di Simona Giorgino.
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