Leggete “Morire dal
ridere”, edito dalla 0111edizioni e scritto da Antonietta Usardi. Leggetelo, non
lasciatevi sfuggire questa lettura estremamente piacevole e originale!
Una trama decisamente
ricca nei contenuti e nel significato, dove l’autrice affronta in maniera leggera,
servendosi abilmente anche di un piacevole senso dell’ironia, un tema
certamente non felice: quello del suicidio, nonché della depressione e di tutti
i tristi sentimenti che possono condurre un individuo a compiere il famigerato estremo gesto.
Il libro mi è
particolarmente piaciuto, ho finito di leggerlo nel giro di un’ora o poco più,
anche perché la sua lunghezza lo permette (120 pagine in big-C, caratteri
grandi, per una lettura facilitata per gli ipovedenti). E comunque non mi sarei mai fermata, non mi sono fatta distrarre né interrompere
da niente e nessuno, perché questa lettura meritava tutta la mia attenzione.
Devo essere sincera, il
Noir è un genere che non ho mai “frequentato”
e, a dirla tutta, la copertina di questo libro non attirava moltissimo la mia
curiosità. Alla fine della lettura, invece, a una cosa ho immediatamente
pensato: “L’ho tenuto fermo per troppo tempo, questo libro!”.
L’aspetto certamente più
significativo del romanzo è il messaggio che comunica, la grande morale che si
nasconde dietro questa storia a tratti assurda e divertente, il significato di
cui sono intrisi tutti i passaggi, nonché i personaggi e le loro personalità.
Ci troviamo in presenza
di una famiglia decisamente stramba, una coppia di genitori e dei figli uniti
da un sentimento comune: il disprezzo per la vita e per le cose belle della
vita, una specie di “famiglia Addams” alla lontana, una famiglia che coltiva la
tristezza, che ammira chi ha saputo fare del pessimismo la propria ragione di
vita, una casa intrisa di colore nero, di depressione e di sentimenti negativi,
gli stessi sentimenti che i due genitori, Vincent e Amelia, hanno cercato con
tanta pazienza e con tanto “amore” di insegnare ai loro figli. A completare
questa bizzarra famiglia, una piccola attività commerciale a conduzione
familiare, una bottega decisamente fuori del comune (il cui nome, tra l’altro, mi ha veramente
fatto “morire dal ridere”, considerando il contesto). Il negozio, sotto la
macabra insegna “Una volta e per sempre”, conosciuto in tutto il paese,
fornisce strumenti per il suicidio per tutti i gusti: cappi, spesse funi, pozioni e caramelle velenose, pistole, spade e coltelli, con tanto di
istruzioni per l’uso e di suggerimenti sulle modalità di esecuzione. I clienti
di questa bottega – lo si può immaginare – non sono certamente le persone più
allegre che si possano incontrare!
Un giorno, però, arriva una fresca ondata di
cambiamento in questa famiglia, e questa ondata di cambiamento prende il nome
di “Robespierre”, un bambino di appena sei anni, nipote da parte di madre che,
abbandonato dalla sua famiglia, è costretto a trasferirsi dagli zii. Robespierre è un
bambino troppo vivace, sorride sempre, ama i colori, invade il funebre negozio
di sorrisi e di parole dolci. Un personaggio decisamente controcorrente
rispetto al contesto in cui è immerso. Un personaggio positivo il cui ottimismo
sembra abbattere le barriere dovunque il male le abbia innalzate.
Ho sempre particolarmente
apprezzato la capacità e soprattutto la predisposizione delle persone a sdrammatizzare
gli eventi più tragici. La morte è un evento tragico, forse il più tragico, il
suicidio ne è una variante altamente discussa. La Usardi, nel suo “Morire dal
ridere”, riesce a parlarci di suicidio accompagnandosi sempre a un sorriso. Riesce
a condurci esattamente dove vuole, attraverso un racconto geniale, leggero,
scorrevole, ironico e tanto, tanto ricco di significato.
Recensione a cura di
Simona Giorgino